martedì 24 maggio 2016

AZALEA pt. 3

In seguito ad un lunghissimo viaggio, ridotto a riposare come una sentinella, spalancarono le portiere dei vagoni che era giorno.
Il fetore inalato per intere notti fu immediatamente svigorito dall'aria gelida proveniente dall'esterno, i fiocchi di neve mi accarezzavano dolcemente il viso annullando la violenza inaudita delle SS che ci trascinavano giù con la forza, uno ad uno, mentre neppure eravamo coscienti.
Con le bocche dei fucili puntate sulle nuche, fummo costretti a percorrere un sentiero, al termine del quale sarebbe bastato un leggero colpo al cranio per finirci come conigli.
 Giunsi dunque ai piedi di una grande muraglia nel dicembre del 1944, eravamo in duecento tra ungheresi, ebrei e qualche italiano.
L'altezza si aggirava intorno agli otto metri, appariva quasi impossibile scorgere il contenuto di quel che pareva una fortezza, tra l'altro più di trenta uomini in divisa avvolgevano il perimetro come custodissero una quantità esorbitante di oro.
L'ufficiale che ci condusse fino alla vetta si avviò ad una procedura secondo cui tutti i prigionieri, me compreso, dovevano disporsi in  dieci file da venti una accanto all'altra, attendevamo di sicuro qualcuno, soprattutto perchè molto lentamente il grande portale posto di fronte a noi iniziò ad aprirsi lasciando intravedere l'interno.
A piccoli passi ma con espressione malefica si avviò verso di noi un omiciattolo lievemente stempiato, si rimboccò le maniche nonostante il freddo glaciale e trascinò i pugni incrociandoli dietro la schiena.
Posto esattamente di fronte a noi prigionieri, disgiunse il labbro superiore da quello inferiore inspirando aria gelida, apprestandosi perciò a formulare un discorso già meditato e ideato per chissà quante povere vittime.
Dalle prime sillabe compresi che il generale avrebbe parlato in tedesco, di sicuro avrei compreso qualche termine, ma la tensione incenerì ogni tassello delle mie conoscenze linguistiche perciò ruotai il capo di novanta gradi per cercare conforto negli sguardi altrui, sperando che anch'essi condividessero le mie sensazioni.











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