venerdì 11 marzo 2016

CAPITOLO 2

-Sabato, 11 ottobre 2008
Ed eccoci qui, indietro di quasi tre anni. Avevo da poco iniziato a vivere nel nuovo universo delle superiori, i compagni erano fantastici e mi trovavo davvero bene sapendo di essermi lasciato alle spalle la povera vita delle medie.
Stavo maturando molto ma nonostante tutto non avevo mai avuto una ragazza, era l’elemento fondamentale che mi mancava di più.
Fino a quel momento del bacio ne avevo sentito solo parlare, ragazzi che avevano un po’ di esperienza in più andavano vantandosi delle loro conquiste e del loro primo bacio.
Già, il primo bacio. Doveva essere qualcosa di fantastico, molti me lo descrivevano come qualcosa di umido, passionale, ma non sapevo che lo avrei provato molto presto.
La mia prima ragazza si chiamava Francesca, molto più alta di me, occhi a mandorla e dei capelli che le arrivavano quasi fino ai glutei, capelli bellissimi che apprezzavo sfiorare con la punta delle dita mentre la guardavo.
Fissammo appuntamento durante la settimana nella piazza principale della mia città. Sembrava molto impacciata all’inizio, ma ricordo che fu lei a baciarmi. Proprio mentre ci guardavamo negli occhi, si avvicinò e il cuore iniziò a battermi a mille, ero ancora incredulo del fatto che stavo per dare il mio primo bacio.
Era proprio come me l’avevano descritto, umido ma piacevole, smisi di tremare e mi sembrò che fosse l’emozione più forte che avessi mai provato.
 Quella storia però non fu destinata a durare molto, tipico degli adolescenti.
Per esaltarmi o forse per sentirmi più grande, la lasciai spudoratamente, e quella fu l’unica e l’ultima volta in cui diedi buca a una ragazza.
Non me lo spiego ancora oggi, so solo che con un cervello da quattordicenne riuscii a combinarne una dopo l’altra e la mia vita cambiò in tutti i sensi. Anche la mia vita scolastica passò dalla media dell’otto a quella del sei, qualcosa dentro di me era in procinto di cambiare, forse stavo diventando un adolescente a tutti gli effetti.
Dopo la mia prima vera storia con una ragazza iniziai a conoscere tanta nuova gente, mi piaceva essere popolare e la mia vita si prospettava interessante dato che non era certo priva di ragazze.
Anche le amicizie crebbero e iniziai finalmente a capire come fosse la vita delle superiori, le mie relazioni iniziarono ad aumentare e malgrado le mie buone intenzioni finivo sempre per essere scaricato con un messaggio o con una e mail.
Insomma, ero bravo a iniziare ma a quanto pare il mio modo di essere infiacchiva con il tempo.
Devo ammettere che nonostante le mie tante delusioni, sono maturato tanto, fino ad arrivare al secondo anno con un pizzico di esperienza in più.
Che cosa mancava? Beh, una storia seria, una relazione che mi facesse provare il vero brivido dell’amore, che mi lasciasse a bocca aperta.
Non avrei mai creduto di trovarla in una persona totalmente inaspettata.
Lei si chiamava Alice, aveva da poco iniziato il primo anno di liceo, con degli occhi stupendi e un sorriso che faceva perdere il senno sarebbe stata di sicuro la ragazza più corteggiata dell’istituto, se non fosse stato per la sua ustione sul braccio sinistro.
Ma perché l’uomo si ferma solo alle apparenze? Perché dobbiamo sempre giudicare una persona se non ne conosciamo il vero valore?
La verità è che fui sorpreso da quella ragazza a tal punto che corsi a presentarmi come un ragazzo sfrontato, lei mi guardò come meravigliata e rispose al mio saluto, coprì leggermente il braccio, convinta che non lo avessi notato.
Fu sorpresa quando scoprì che ne ero a conoscenza e non avevo ancora deciso di scappare a gambe levate. Credetemi m'innamorai fin da subito del suo sorriso, quell’ustione non contava niente per me, era solo un difetto, perché del resto tutti ne abbiamo.
Anche lei si era innamorata di me, mi diceva sempre che le avevo salvato la vita, mi diceva che ero la sua ancora di salvezza e che senza di me non avrebbe mai superato la paura di uscire tra la gente e mostrare fiera il segno della sua bruciatura. Mi raccontò che suo padre era un gran cuoco, e che quel giorno disgraziato, mentre lei aveva solo quattro anni, un tegame con dell’olio bollente le cadde sull’avambraccio provocandole un’ustione di terzo grado.
Passarono due mesi e con lei iniziai a trovarmi bene, avevo ripreso a studiare e la mia media a scuola iniziò a essere incrementata da voti molto alti, lei era sempre più felice ed io davo il meglio di me per farla sentire a suo agio in un mondo che non la meritava. La nostra intimità iniziò a crescere, ridevamo, scherzavamo insieme come fossimo fratello e sorella, ma allo stesso tempo ci toccavamo per scoprire i nostri punti deboli, perché tra di noi c’era una forte attrazione fisica.
Pochi mesi più tardi capii che era la mia ragione di vita, era l’unica che riusciva a capirmi poiché la mia famiglia era sempre fuori per lavoro e, quando c’era, non faceva altro che lamentarsi del mio disordine o della mia cattiva condotta all’interno della casa.
Quando guardavo i suoi occhi, mi sentivo al sicuro e sapevo che la mia vita non avrebbe mai avuto limiti se ci fosse stata lei a guarirmi dal pessimismo, perché era ciò che stava facendo, stava facendomi credere che nel mondo ognuno di noi ha paura del prossimo, tutti esteticamente diamo l’impressione di non temere niente, di affrontare la vita come fosse un pupazzo di peluche, ma non è così. Abbiamo bisogno di verità, di un qualcosa di concreto, di qualcuno che ci tenga la mano.
Ecco, dopo quei mesi passati con lei, mi resi conto che mi aveva cambiato, ma allo stesso modo anch’io l’avevo resa una persona diversa. Prima che la conoscessi, non avrebbe mai reagito agli insulti, non avrebbe mai parlato del suo malessere fisico e tantomeno sarebbe arrivata a farmi credere che sono una persona migliore di tante altre, perché l’adolescenza in fin dei conti è così, in un attimo credi di essere l’uomo più felice sulla faccia della terra sventolando la bandiera, l’attimo dopo l’umore si spezza come fosse un ramoscello d’ulivo.
Continuai a chiedermi come avesse fatto una ragazza di soli quindici anni ad avermi fatto perdere la testa in quel barbaro modo, facendo volare un anno in un istante, perché quando ero con lei, il tempo volava, quando ero con lei, bastava che mi toccasse, che mi stringesse il collo e facesse scivolare le mani lungo il bacino per farmi impazzire.
Toccarla era la cosa più bella che mi avessero concesso, e poi fare l’amore con lei, il mio cuore perdeva il conto dei battiti quando succedeva.
Insomma, stiamo parlando di trasformare tutto l’amore, la grinta e la passione che abbiamo in un solo atto fisico, sentivo che ero dentro di lei e che lei era dentro di me, non si trattava solo di fare del “Sesso”, si trattava di stringersi le mani e guardarsi negli occhi mentre si godeva, mentre si ansimava sottovoce e ci si accarezzava con le mani sudate. Si trattava di concentrarsi sull’espressione del suo volto mentre i corpi erano uniti, importava maggiormente vederla sovrastata dal piacere attraverso gli occhi sbarrati e quella bocca semiaperta che voleva baciarti ma allo stesso tempo allontanarsi per sospirare e trasformare la soddisfazione in un orgasmo, così che io potessi provare la stessa sensazione, spingendo in sintonia con il suo alito, provando lo stesso benessere restando in silenzio, facendo risaltare l’eco del respiro nella stanza. La sua faccia dopo averlo fatto era molto più bella dell’atto in se stesso, quasi indescrivibile a parole. Potevamo essere sudati, malconci, lei era più bella di quanto lo fosse un paio di istanti prima. Ci guardavamo sempre negli occhi, erano il mezzo espressivo per farci capire quanto il nostro amore stava crescendo di volta in volta.
A distanza di un anno non ho mai dimenticato quei momenti, sono delle sensazioni che rimangono per tanto tempo, finché non si rivivono.
Qualche mese più tardi lei era entrata a far parte della mia famiglia, ormai sembrava tutto irreale, era un sogno che diveniva realtà.
Arrivò poco più tardi una bellissima notizia. Finalmente Alice ottenne una risposta dalla sua clinica per un intervento di chirurgia plastica, in modo da coprire l’ustione sul suo avambraccio.
La vidi così felice che mi venne un groppo in gola, piansi per la felicità vedendo che quella ragazza, così sfortunata per tanti anni era stata ripagata per tutti gli sforzi compiuti.
L’intervento si svolse poche settimane dopo, andò tutto per il meglio e quando la vidi uscire dalla sala operatoria mi sembrò incredibile vedere che il suo braccio era quasi completamente uguale all’altro.
La chirurgia aveva fatto un ottimo lavoro, non l’avevo mai vista così felice come in quel momento, mi avvicinai e la abbracciai come se l’avessero tenuta lontana per mesi.
La vita ci insegna che ci possono essere delle storie a lieto fine, era ciò che mi sembrava, era un finale nel quale io e lei eravamo i protagonisti.
Ho usato il verbo “Sembrava”, già. Il lieto fine è qualcosa di soggettivo, molto presto mi resi conto che quello non era un vero finale.
Poco tempo dopo i ragazzi che l’avevano sempre guardata con disprezzo iniziarono a farsi avanti, ragazzi che molto probabilmente avevano molto più fascino di me e sicuramente erano più grandi e maturi.
A che punto arriva la stupidità umana? Esiste qualcosa che un qualsiasi dio giudichi giusta per qualcuno che ha dato l’anima a una persona?
Io ero sempre lo stesso, innamorato pazzo, fiero di me e di quello che avevo costruito, ma lei non era più la persona che conobbi. Con il passare dei giorni iniziò a diventare più fredda, più distaccata, non mi rispondeva più alle chiamate o ai messaggi.
Eccoci arrivati al bivio nel quale tutti si chiederanno: “Come finirà tra i due innamorati?”
Come disse Machiavelli, la nostra vita è fatta per il cinquanta per cento da fortuna, per la restante percentuale dobbiamo mettere in gioco le nostre virtù e combattere per non farci trasportare soltanto dalla sorte, per dimostrare alla vita stessa che lottiamo per assicurarci una speranza.
Allora perché mi chiedo, pur avendocela messa tutta, mi son ritrovato al punto di partenza? Perché avendo espresso le mie migliori virtù, ha prevalso la fortuna nel suo lato negativo?
Mi bastò solo una settimana per capire che la ragazza della mia vita era cambiata, era diventata una ragazza troppo normale, aveva dimenticato tutte le sue sofferenze, tutto ciò che avevamo realizzato insieme e si era fatta trasportare dal primo bel ragazzo che si era presentato alla sua porta.
E che ne potevo capire io? Ero solo un ragazzo mediocre, ero qualcosa e non qualcuno.
Le giornate erano grigie senza la persona che ormai era entrata a far parte della quotidianità. Non la vedevo né sentivo da più di una settimana, avevo capito che forse la cosa più giusta da fare fosse lasciarla in pace, e così feci.
Si ripresentò inaspettatamente, proprio nel modo in cui la conobbi. Dopo circa un mese non ebbe nemmeno il coraggio di entrare in casa mia e chiedermi scusa per tutto quello che aveva fatto.
Avevo capito quanto fosse diventato importante conoscere a fondo una persona, da dove era uscita quella parte di lei che non avevo mai visto? Eppure ero convinto di conoscerla a memoria, mi sbagliavo.
Un misero messaggio, quattro misere righe in cui erano racchiuse quattro ottusità riguardanti la motivazione della nostra rottura. Sarei bugiardo se dicessi che ho letto quel messaggio, ebbene non ebbi nemmeno il coraggio di leggerlo tutto, perché in cuor mio sapevo già cosa c’era scritto.
Tutto l’amore che avevo dato, tutte le verità, i pilastri solidi che avevo costruito giorno dopo giorno iniziarono a crollare nel giro di un paio di giorni al massimo. Da quell’amore tiepido e confortante mi ritrovai in mezzo ad una strada fredda e cupa sapendo che ormai non sarebbe tornata più.
E ogni giorno ero costretto a guardarla ridere e scherzare come se la sua vita fosse filata alla grande, sapendo che un giorno ha amato me, ha preferito me, dovevo sentire tutte le voci altrui che mi rivelavano una cantilena già sentita “peccato che sia finita tra di voi, ora è la ragazza più bella della scuola”.
Lo sapevo benissimo questo, lo avevo appreso ogni giorno mentre la fissavo, e non c’era bisogno che qualcuno venisse a ricordarmelo come se avessi delle amnesie.
A scuola indossavo la maschera più falsa che avessi provato in tutta la mia vita. A casa ero un fiume di lacrime costretto a sopportare un giorno e una notte spogli.
Le ore di sonno erano al massimo quattro o cinque per notte, lo stress aumentava e a scuola era sempre peggio con la mia media dei voti.
Di solito quando finiva una relazione, non riuscivo a mangiare per una giornata intera. I miei m'imploravano di mettere qualcosa nello stomaco ma quello era come spento, non entrava niente nella mia bocca, a parte le vitamine che ero costretto a somministrarmi per tenere in piedi le gambe.
E come se non bastasse dopo circa un mese, iniziarono a subentrare vomiti e un mal di testa che mi mandava allo sbaraglio.
Persi quasi tre chili nel giro di due settimane tanto che nemmeno i miei amici mi riconoscevano più. Ero pallido come il latte e desideravo non andare a scuola solamente per non farmi vedere soffrire dalla ragazza che mi aveva rovinato.
Credo che non ci sia niente di più brutto, è come mettersi contro il tuo nemico sapendo che non giocherai ad armi pari, sapendo che sei in netto svantaggio e ti arrendi al tuo triste destino.
Io cosa potevo essere diventato? Che cosa ero per lei mentre mi osservava passare per i corridoi, pallido come un cadavere?
Mi sentivo un incapace, inesistente e privo di energie. Quel giorno la mia povera madre decise di portarmi per un controllo, ero troppo debilitato e di certo non potevo continuare così se volevo reggermi sulle gambe.
Entrare nello studio della mia clinica mi fece riapparire tanti ricordi, ovunque andassi c’era la sua faccia, il suo profumo, il suo odore.
“Priscilla”, chiamavo così mia madre da quanto ero piccolo, le sussurrai: “Priscilla quando tocca a noi?”, sperando che tutto fosse finito presto.
Lei si girò guardando mio padre e nello stesso istante la porta infondo al corridoio si aprì lentamente lasciando uscire un ometto basso e tozzo.
“Prego”, urlò il dottore. Ci alzammo in sintonia e ci dirigemmo con passo spedito nello studio. Niente di che, mi domandò il nome, iniziò a toccarmi, dopodiché mi chiese di fare un respiro profondo come di solito richiedono i pediatri.
“Qui c’è un problema”, disse con una voce rilassata.
“Bisogna eseguire una tac al piano superiore”, ribatté con un tono sempre molto tranquillo.

giovedì 10 marzo 2016

UNA GOCCIA D'ACQUA NELL'OLIO BOLLENTE

Buongiorno ragazzi, questo titolo equivale alla mia prima opera, ogni giorno pubblicherò un capitolo con la speranza che vi possa piacere e che possiate trovarla interessante.
Buona lettura.

CAPITOLO 1
-Martedì, 30 Settembre 2011
Fuori dai pannelli della finestra d’un ospedale si prospettava un’ulteriore giornata rigida e faticosa.
Gradisco alzarmi dal letto durante le prime ore del mattino, quando il sole e le stelle si sfiorano e la luna si fa più tersa in un cielo che subisce l’alba.
Dal ballatoio si scorge tutta la città alle prime luci, un posto diverso dal mondo di tutti i giorni. Basta chiudere gli occhi per sentire meglio i rumori della gente, il fruscio del vento e i motori delle macchine in un continuo spostarsi.
Solo alle cinque del mattino riesco ad avvertire il verso dei passeri, il suono impercettibile delle gocce d’umidità che sbattono sulle grondaie o le foglie di quercia che scorrono sul viale alberato accasciandosi al suolo. Questa parte delle mie giornate, questo breve arco di tempo lo chiamo “Vivere”, l’unico momento in cui riesco a confidarmi con me stesso, a riflettere sulla mia esistenza.
Poco dopo si sveglia il resto del mondo, la luce si fa più intensa, le fabbriche e i negozi iniziano a funzionare e la gente corre da una parte all’altra, blatera, sfotte e si fa del male senza nemmeno accorgersene. È proprio questo il momento in cui, mentre il globo inizia a funzionare, io smetto di esistere.
Chi sono io veramente? Me lo sono sempre chiesto, ma dopotutto la natura umana è questa, da quando siamo capaci di ragionare non facciamo altro che riempirci di domande, la difficoltà sta nel darsi delle risposte.
In teoria dovrei essere Michele, un ragazzo di diciassette anni, adolescente cui non manca nulla, in pratica sono sempre lo stesso, ma senza futuro, un presente indifferente, un passato malinconico e un cancro ai polmoni.
Dopo le sei del mattino inizio a sentire i richiami dei pazienti, i dottori, gli infermieri iniziano il loro turno lavorativo giornaliero, le porte si aprono e si chiudono, le persone urlano mentre la mia mente scombussolata post-chemio mi ordina di correre in bagno e sputare tutte le cattive impressioni insieme all’accumulo d'inutili farmaci.
Che ci faccio qui? Molto probabilmente la mia vita ha previsto questo per me, la mia storia appartiene a tutti voi, tutti potrebbero sentirsi chiamati in causa per il semplice fatto che la nostra esistenza non procede secondo i nostri programmi, ma secondo ciò che l’esistenza ha progettato per essa stessa.
Che peso ha l’infanzia? Che peso ha l’adolescenza o la maturità?
L’Adolescenza la conosco bene, ci sono dentro fino al collo. Che senso ha la vita se non si passa dall’adolescenza? Il bambino è la bocca della verità, l’adulto è saggio, insegna a vivere, ma l’adolescente? È lui che ripone nelle sue mani il futuro, poggiandosi su delle basi che non esistono perché divorate dall’incertezza e dalle emozioni amplificate.
La mia vita è simile a quella di un qualsiasi adolescente, sono consapevole di ciò che sono e non rimpiango ciò che sono stato. Ho vissuto tutte le emozioni migliori, di amicizie e amore non ne ho potuto fare a meno.
Sia ben chiaro che non ho intenzione di deprimermi, voglio raccontare del motivo per il quale io sono ancora in piedi, la ragione per cui io esisto ancora.
La mia figura è totalmente normale, sono un ragazzo come tanti, ma i miei amici mi hanno sempre chiamato “Eterno ultimo”, per il semplice fatto che m'innamoravo continuamente e venivo per lo stesso motivo scaricato.
Mi è sempre piaciuto avere tante ragazze ma a quanto pare i miei modi di fare sono sempre stati poco efficaci per la mia generazione.
Insomma sono finito per diventare uno dei ragazzi più scaricati dell’istituto scolastico.
Nel mio aspetto fisico non penso di essere un pessimo ragazzo, sono alto un metro e settanta, sono abbastanza magro per la mia età, ho un lungo ciuffo che si estende in altezza, pochi lo hanno. Il mio viso e abbastanza strano, un difetto che sicuramente penso di avere è il naso ingombrante, per il resto non ci ho mai pensato. Il mio fisico è, come ho detto in precedenza, abbastanza esile, mangio molto ma assimilo poco. Sono molto socievole ma sono antipatico a molti ragazzi per i miei modi di fare apparenti.
Il mio unico difetto, oltre al naso, risulta essere quindi l’incredibile velocità che ho nell’innamorarmi.
Ma che c’è di male nell’innamorarsi? Lanciarsi senza paracadute in un’amicizia più intensa dell’amicizia stessa, volersi bene tanto da fare l’amore, un po’ come l’amore aristotelico.
Mi piaceva la filosofia, la studiavo appena tornato da scuola. Era l’unica materia che rispondesse alle mie esigenze, e soprattutto era l’unica ad avermi insegnato che tutti possiamo filosofare, e di norma chi pensa al razionale troppo spesso può definirsi più intelligente.
Pensando spesso non so se definirmi troppo intelligente o troppo stupido, è uno dei miei pregi o difetti?
So solo che molto spesso pensare induce il cervello a ragionare facendo del bene, ma fa altrettanto male rimuginare su ciò che non conviene a noi stessi.
Nessuno è ingenuo in realtà, nessuno vuole leggere uno stupido romanzo su un ragazzo che cerca di attuare riflessioni brillanti credendo di sapere com'è fatto il mondo.
No, la verità è che ciò che ci spinge ad andare avanti ogni giorno, il motore dei nostri sogni è l’amore. Ciò che fa soffrire l’uomo, che lo induce a pensare cosa sia giusto o meno, che lo spinge a compiere determinate azioni, è proprio l’amore.
Tutto quello che leggiamo o studiamo quotidianamente è legato a quest’ultimo. Basti pensare che Dante non avrebbe scritto la maggior parte delle sue opere se non fosse stato innamorato di Beatrice, allo stesso modo Petrarca non avrebbe fatto successo se non si fosse ispirato a Laura.
Perciò le persone non si rendono conto di ciò che fanno, a volte trascurano tutto quello che hanno davanti non accorgendosi alla fine che lo rimpiangeranno.