mercoledì 1 giugno 2016

ESTATE INVERNALE

Passo dopo passo, tempesta dopo tempesta, incombe l'estate.
Termina il periodo scolastico in cui ci si alza controvoglia sfilando lentamente il piumone caldo, si defila la stagione fredda e secca per lasciare il posto all'afa e all'umidità.
Mi affaccio dalla finestra e penso, sono libero e nudo mentre faccio un profondo tiro di lucky strike blu, mentre il mio corpo non ha i brividi e non ha i muscoli tesi e ha la mente sgombra.
Sono qui, immobile mentre guardo il panorama, non sono felice. Sento la mancanza del tepore domestico, delle risate tra amici trasferitisi nelle località marittime, della birra il mercoledì sera.
Sento che il mare e la gente saranno solo di passaggio, una storia estiva non farà altro che farmi perdere la testa per poi essere bocciato all'esame, in ogni caso ci starò male per entrambe le cose e i miei ormoni esploderanno e il mio stomaco si contorcerà fin quando non suoneranno le campane d'autunno. Odo, odo il il fruscìo dello scirocco, delle foglie dei sempreverdi che mi chiedono quanto ne possa valere la pena interrogarsi sul senso della vita se all'estate spetta il compito di indurre l'essere alla distrazione.
Proprio ora, mentre sono spoglio, denudato dei miei pensanti maglioni di lana e delle felpe e delle giacche, mi chiedo perchè l'estate mi debba far soffrire, mi chiedo perchè il mio cervello continui ad andare controcorrente e perchè ogni magnifica estate mi sembra di tremare come fosse inverno.


venerdì 27 maggio 2016

SENTIMENTAMBIENTI


Un uomo, un essere
Questo sono 
Provo malessere
Quando m'innamoro

Il vento afoso
Annuncia l'estate
In un sentiero ombroso
Rimembro le emozioni passate

Vivo gli ambienti
In ogni ricordo 
Ma i miei sentimenti
Non sono d'accordo.


giovedì 26 maggio 2016

LA TEORIA DEL GIUSTO

Una semplice figura corporea, un animale, è questo che dovremmo essere se non fossimo dotati di ragionamento.
Eppure dal momento in cui l'uomo è divenuto tale, elevandosi attraverso l'uso degli arti e comprendendo la funzione della natura ha trovato davanti a se la medesima situazione da parte degli altri.
A vivere non siamo soli, perciò rapportarci con gli altri spesso diviene necessario.
Il singolo ora è società, una piccola molecola alla quale è affidato un compito, una posizione dentro il collettivo.
A questo punto entra in gioco il ragionamento, la coscienza del singolo.
Ogni uomo decide se subordinare il suo pensiero a quello degli altri o, nonostante vada in netto contrasto con la massa, perseguire i suoi obbiettivi portando avanti l'ideale che lo rappresenta.
Entrano perciò in gioco due circostanze:
1- Si sviluppa un apparato molto simile a quello di Hobbes, l'uomo non è valorizzato e in più non valorizza se stesso, è un semplice suddito, messo in ombra dalla figura del Leviatan, colui che prevale sull'insieme.
La coscienza, l'idea del singolo è offuscata dal sistema.
Collocando quest'idea nel contesto odierno ci accorgeremmo di come, nonostante l'esistenza di una repubblica e di uno stato socialmente avanzato, metaforicamente parlando, il Leviatan possa essere rappresentato dalla massa stessa.
Il sociale è facilmente paragonabile a quella tirannide descritta dal noto filosofo inglese del settecento.
Non si tratta di un soffocamento a livello istituzionale, giuridico, è opportuno precisare che tale insieme di individui tende a condizionare il singolo attraverso opinioni, pareri che implicitamente sottintendono un disappunto o una critica.
In altre parole, nei nostri giorni è il pensiero che condiziona.
In questa prima circostanza l'individuo potrebbe anche essere valido mentalmente, ma è facilmente influenzabile, perciò qualsiasi sua idea innovativa perderebbe valore, verrebbe in ogni caso "Sporcata" dall'opinione pubblica che rappresenta la stragrande maggioranza.
L'uomo si sente quindi una minuscola figura, ha paura di far valere i suoi ideali, anche nel caso in cui questi ultimi siano una chiave per cambiare il mondo.
Ponendo fine a questa prima possibilità si potrebbe dire che: l'idea innovativa (ciò che l'uomo ha da dire indipendentemente dal giudizio degli esterni) è offuscata dall'idea collettiva (ciò che gli esterni hanno da dire indipendentemente dal giudizio del singolo).
Seguendo questo schema, il Giusto (l'insieme di idee oggettivamente valide per far progredire la società) perde il suo valore.
Traendone le conclusioni, la società stagna in una posizione fissa, restando immobile all'infinito.
2-Per rimuovere la società da tali "Sabbie mobili" entra in gioco l'individuo che detta la seconda condizione. Quest'uomo prende il nome di "Coscienzioso", il quale attraverso le sue numerose virtù, riesce a far prevalere "L'idea innovativa" su "L'idea collettiva".
Ciò lascia presupporre che quest'ultimo agisce indipendentemente dall'idea della collettività, dando ascolto all'intelletto e attribuendo importanza al progresso della società.
Egli non teme dunque condizionamenti, critiche o derisioni, è un essere indipendente e agisce solo in funzione del sociale.
"Il giusto" è ora compiuto, la società torna a progredire evadendo dal ciclo in cui si trovava in precedenza.
Proprio adesso, chiunque si trovasse a leggere questa teoria, potrebbe pensare: "Chi mi dice che il singolo abbia ragione e che il collettivo abbia torto?". A questa domanda si potrebbe rispondere incentrando ancora una volta il ragionamento sull'Uomo coscienzioso.
In quest'ultimo la virtù detta legge, ciò significa che il suo valore ideale è talmente alto da agire pur contrapponendosi alla massa, perciò non potrebbe mai unirsi ad essa.
Il "Coscienzioso" è quindi incondizionabile e come tale crede fermamente nella sua idea. Non si potrebbe dire la stessa cosa del collettivo, il quale, pur partendo da un'idea, è formato da figure che agiscono prevalentemente per convenienza, non di certo perchè esclusivamente credono nell'ideale.
Come ci spiegheremmo il fatto che l'individuo coscienzioso possa rimanere solo in tutto e per tutto?
Semplice, perchè la sua idea non entra nei canoni di convenienza.
Ecco quindi la comparsa di un altro elemento: "La convenienza".
Da ciò traiamo una conclusione: l'individuo agisce per interesse, il collettivo per convenienza.
Ciò vuol dire che sarà sempre l'individuo coscienzioso a cambiare la società, la massa sarà per sempre condannata a restare all'interno di una mentalità retrograda e opportunista, la quale non porterà mai avanti il mondo.
Attraverso questa teoria si dimostra il fatto che, nonostante ci si trovi in un contesto allargato come la società, è sempre la componente legata ai valori umani a fare la differenza, a volte il singolo vale più di un gruppo di mille, ciò che conta non è la quantità legata all'idea, ma sarà sempre la qualità.




mercoledì 25 maggio 2016

NOSTRA ITALIA: ISTRUZIONI PER L'USO

Fu così che il 25 maggio 2016, ci ritrovammo in una selva oscura, che la diritta via era smarrita.
Ah, povera Italia, un tempo ricca di πάθος, cultura, arte genuina, politica rispettabile e ambita gestione.
Migliore al mondo millenni orsono, sempre peggiore nel corso dei secoli, malata e penalizzata per lo scarso comportamento ed esile personalità.
Leonardo ci salvò, Dante forse, semmai Leopardi.
Chiunque fosse passato di lì si sarebbe fatto una scorpacciata di cozze qua e là per poi abbandonare la nave, cosa c'è di male? È infondo cosa di tutti interessarsi a ciò che conviene per poi perdere l'interesse quando un filo di convenienza più non c'è.
Dunque, ci scavalcò la Germania, la Francia, l'Inghilterra, via via qualunque tipo di concorrenza rubò il pane dalle nostre mani e la speranza e la tecnologia e l'arte.
La cultura fu l'unica cosa che ci rimase, ma anch'essa, sentendosi sola, scappò a gambe levate nelle braccia del progresso.
Così, in preda all'ignoranza rendemmo possibile l'ascesa di uomini folli al potere, via via l'ascesa degli uomini "Dalle auto blu" e dai sorrisi SOCIAL-isti.
Niente di meglio che un selfie incoraggiante per aumentare il Pil e recuperare un debito plurimiliardario che ci affossa da tempo.
Ma ciò da noi è stato permesso, nient'altro che da noi, che ci sta bene, ci sta tanto bene farci pigliare in giro, basarci sulle apparenze e giudicare il monaco dall'abito, farci rubare gli spiccioli dal fondo della tasca e non ne vogliamo sapere di morire della patria come invece si faceva un tempo, non ne vogliamo sapere di ribellarci e smetterla di nominare e far nominare l'Italia "Buffona".

martedì 24 maggio 2016

FELICEMENTE IGNORANTE, TRISTEMENTE RAZIONALE

Adattarsi al mondo che ci gira intorno comporta un'attenzione spiccata allo sviluppo del sesto senso.
C'è chi lo ignora e vive nella beata ignoranza, chi invece riesce a porsi un domanda in più e uscire dal suo orto, sfociando nell'ambiente delle grandi metropoli.
È un pò come riferirsi ad un contrasto tra visione leopardiana e visione pascoliana, quindi contrapporre la sofferenza della mancata possibilità nell'oltrepassare la siepe, alla soddisfazione e al compiacimento del restare intrappolati in casa perchè la nebbia offusca la vista oltre l'orto.
La verità, cari amici, è che il mondo è pieno di scemenze, pieno di continui insulti e  false lodi, sta a noi sviluppare la capacità che ci permetta di vedere, sbrogliarci dal fenomeno che ci avvolge, sta a noi essere razionali e uscire dalle concezioni comuni della quali, ahimè, il mondo è pieno.
Il problema è uno solo a questo punto: quanto ci conviene farci sopraffare dalla razionalità? È meglio essere ignoranti forse? A questa domanda c'è chi una volta non esitò a rispondere "Nella vita mi basta un panino, la famiglia e un bicchiere di vino per stonarmi la sera", c'è chi invece si oppose fermamente e continuò a ripetere che avrebbe cambiato il mondo, ma una volta fatto ciò finì per ammalarsi o per cadere in una profonda depressione che lo portò a un veloce e improvviso suicidio.
La razionalità uccide, avvolge ciascuno di noi in vortice senza via di scampo, sta a noi capire che tipo di vortice possa essere questo. Sta all'umanista, all'intellettuale domandarsi quando possa convenire.
Perciò lascio voi la decisione: preferite passare una vita serena senza lasciar traccia, o soffrire ardentemente perchè l'umanità non taccia?

AZALEA pt. 3

In seguito ad un lunghissimo viaggio, ridotto a riposare come una sentinella, spalancarono le portiere dei vagoni che era giorno.
Il fetore inalato per intere notti fu immediatamente svigorito dall'aria gelida proveniente dall'esterno, i fiocchi di neve mi accarezzavano dolcemente il viso annullando la violenza inaudita delle SS che ci trascinavano giù con la forza, uno ad uno, mentre neppure eravamo coscienti.
Con le bocche dei fucili puntate sulle nuche, fummo costretti a percorrere un sentiero, al termine del quale sarebbe bastato un leggero colpo al cranio per finirci come conigli.
 Giunsi dunque ai piedi di una grande muraglia nel dicembre del 1944, eravamo in duecento tra ungheresi, ebrei e qualche italiano.
L'altezza si aggirava intorno agli otto metri, appariva quasi impossibile scorgere il contenuto di quel che pareva una fortezza, tra l'altro più di trenta uomini in divisa avvolgevano il perimetro come custodissero una quantità esorbitante di oro.
L'ufficiale che ci condusse fino alla vetta si avviò ad una procedura secondo cui tutti i prigionieri, me compreso, dovevano disporsi in  dieci file da venti una accanto all'altra, attendevamo di sicuro qualcuno, soprattutto perchè molto lentamente il grande portale posto di fronte a noi iniziò ad aprirsi lasciando intravedere l'interno.
A piccoli passi ma con espressione malefica si avviò verso di noi un omiciattolo lievemente stempiato, si rimboccò le maniche nonostante il freddo glaciale e trascinò i pugni incrociandoli dietro la schiena.
Posto esattamente di fronte a noi prigionieri, disgiunse il labbro superiore da quello inferiore inspirando aria gelida, apprestandosi perciò a formulare un discorso già meditato e ideato per chissà quante povere vittime.
Dalle prime sillabe compresi che il generale avrebbe parlato in tedesco, di sicuro avrei compreso qualche termine, ma la tensione incenerì ogni tassello delle mie conoscenze linguistiche perciò ruotai il capo di novanta gradi per cercare conforto negli sguardi altrui, sperando che anch'essi condividessero le mie sensazioni.











lunedì 23 maggio 2016

AZALEA pt. 2

Fu così che, dopo tale riflessione, ritrovai me stesso, ma nel vuoto, immobile.
Fino a qualche secondo fa mi ero smarrito, eppure ero sicuro di aver vissuto, certo di aver controllato il mio corpo e aver maneggiato sensazioni ed emozioni attraverso la mia anima.
Le stavo provando in quell'istante, le emozioni intendo.
Ero cosciente, ma non eccessivamente da rizzare le palpebre, manovrare il movimento degli arti o percepire il flusso del sangue.
La mia anima era attiva, forse ero morto, accasciato al suolo da qualche parte, non riuscivo a spiegarmi come mai il mio fisico fosse incontrollabile, privo di ogni stimolo.
Pensai, come mi era solito fare, che fosse giunta la fine, forse il mio compito era terminato, il connubio tra corpo e spirito era ormai disgiunto, almeno non avevo provato dolore.
Quasi soddisfatto, cercai di pizzicarmi ma..che stolto, non avevo più delle mani.
Non potevo restare per sempre in tali condizioni, diluire il pensiero con l'azione rende felice e dinamica l'esistenza, come avrei fatto a pensare in eterno?
Addentrandomi nei corridoi dell'inconscio mi parve di udire un leggero frastuono che tuttavia non era frutto del mio senno, derivava da qualche elemento esterno al mio essere.
Divenne sempre più chiaro quel timbro vocale che assillava il mio timpano, allora non ero morto, il mio udito era ancora funzionante.
Un leggero formicolio iniziò a pervadere l'alluce, per poi diramarsi attraverso le ginocchia, verso l'intero tronco.
"Steh auf!", violenti pestoni scaltrirono la mia schiena spoglia, iniziai a sentire il gelo propagarsi attraverso tutta la fragilità del corpo.
Come a seguito d'una scossa, le mie pupille assaporarono il gusto delle prime luci al mattino. Era un tedesco, se ne stava lì a torturarmi da mezz'ora sperando che mi alzassi, se fossi rimasto a terra per più di cinque minuti probabilmente mi avrebbe fucilato.
Sfortunatamente, anche quel dì i miei occhi avevano visto la luce del giorno, mi aspettava una pesante giornata di sforzo fisico, del resto era quello il motivo per il quale i nazisti si ostinavano nel volermi vivo.

domenica 15 maggio 2016

AZALEA pt. 1

Se la terra esiste, dovrà esserci per forza un essere superiore che l'ha creata, a sua volta colui che individuiamo con il nome di Dio dovrà pur essere stato generato. Possiamo cercare all'infinito, ciò che non riusciamo a spiegare è l'inizio, la premessa, quello che antecedentemente al "Prima" ha dato vita a quest'ultima concezione temporale.
L'universo è in continua espansione, senz'altro lo spazio e il tempo sono unità di misura conformate alla nostra intelligenza.
Magari i nostri interrogativi sono circoscritti sol perchè non abbiamo le capacità per comprendere altre unità di misura che, al di fuori del materiale, solo qualcuno di più avanzato conosce.
Lo spazio e il tempo potrebbero essere validi solo fino ad un certo punto, oltre quel contenitore che riusciamo a ravvisare non è assodato che ci sia dell'altro.
E se il cosmo giocasse con noi come tanti criceti? Se si prendesse gioco di tutta l'umanità proprio come quet'ultima dileggia se stessa?
Siamo entusiasti nel creare ecosistemi assiduamente, sbizzarrirci nel possedere ciò che è inferiore a noi, per questo vogliamo di più, fremiamo per far si che anche l'uomo ci appartenga.
Proprio come gli animali, vogliamo vedere quell'innocua figura oltre le travi della gabbia mangiare, fare i suoi bisogni e, nel caso dovesse morire, non disturbarci più di tanto nel tendere il braccio verso la pattumiera e gettare il cadavere tra i rifiuti.
Pensiamo di essere gli organismi vitali più intelligenti sulla faccia della terra, lo siamo, ma non abbiamo fatto i conti con l'infinito, che sa sempre quando e dove colpirci.

giovedì 12 maggio 2016

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venerdì 11 marzo 2016

CAPITOLO 2

-Sabato, 11 ottobre 2008
Ed eccoci qui, indietro di quasi tre anni. Avevo da poco iniziato a vivere nel nuovo universo delle superiori, i compagni erano fantastici e mi trovavo davvero bene sapendo di essermi lasciato alle spalle la povera vita delle medie.
Stavo maturando molto ma nonostante tutto non avevo mai avuto una ragazza, era l’elemento fondamentale che mi mancava di più.
Fino a quel momento del bacio ne avevo sentito solo parlare, ragazzi che avevano un po’ di esperienza in più andavano vantandosi delle loro conquiste e del loro primo bacio.
Già, il primo bacio. Doveva essere qualcosa di fantastico, molti me lo descrivevano come qualcosa di umido, passionale, ma non sapevo che lo avrei provato molto presto.
La mia prima ragazza si chiamava Francesca, molto più alta di me, occhi a mandorla e dei capelli che le arrivavano quasi fino ai glutei, capelli bellissimi che apprezzavo sfiorare con la punta delle dita mentre la guardavo.
Fissammo appuntamento durante la settimana nella piazza principale della mia città. Sembrava molto impacciata all’inizio, ma ricordo che fu lei a baciarmi. Proprio mentre ci guardavamo negli occhi, si avvicinò e il cuore iniziò a battermi a mille, ero ancora incredulo del fatto che stavo per dare il mio primo bacio.
Era proprio come me l’avevano descritto, umido ma piacevole, smisi di tremare e mi sembrò che fosse l’emozione più forte che avessi mai provato.
 Quella storia però non fu destinata a durare molto, tipico degli adolescenti.
Per esaltarmi o forse per sentirmi più grande, la lasciai spudoratamente, e quella fu l’unica e l’ultima volta in cui diedi buca a una ragazza.
Non me lo spiego ancora oggi, so solo che con un cervello da quattordicenne riuscii a combinarne una dopo l’altra e la mia vita cambiò in tutti i sensi. Anche la mia vita scolastica passò dalla media dell’otto a quella del sei, qualcosa dentro di me era in procinto di cambiare, forse stavo diventando un adolescente a tutti gli effetti.
Dopo la mia prima vera storia con una ragazza iniziai a conoscere tanta nuova gente, mi piaceva essere popolare e la mia vita si prospettava interessante dato che non era certo priva di ragazze.
Anche le amicizie crebbero e iniziai finalmente a capire come fosse la vita delle superiori, le mie relazioni iniziarono ad aumentare e malgrado le mie buone intenzioni finivo sempre per essere scaricato con un messaggio o con una e mail.
Insomma, ero bravo a iniziare ma a quanto pare il mio modo di essere infiacchiva con il tempo.
Devo ammettere che nonostante le mie tante delusioni, sono maturato tanto, fino ad arrivare al secondo anno con un pizzico di esperienza in più.
Che cosa mancava? Beh, una storia seria, una relazione che mi facesse provare il vero brivido dell’amore, che mi lasciasse a bocca aperta.
Non avrei mai creduto di trovarla in una persona totalmente inaspettata.
Lei si chiamava Alice, aveva da poco iniziato il primo anno di liceo, con degli occhi stupendi e un sorriso che faceva perdere il senno sarebbe stata di sicuro la ragazza più corteggiata dell’istituto, se non fosse stato per la sua ustione sul braccio sinistro.
Ma perché l’uomo si ferma solo alle apparenze? Perché dobbiamo sempre giudicare una persona se non ne conosciamo il vero valore?
La verità è che fui sorpreso da quella ragazza a tal punto che corsi a presentarmi come un ragazzo sfrontato, lei mi guardò come meravigliata e rispose al mio saluto, coprì leggermente il braccio, convinta che non lo avessi notato.
Fu sorpresa quando scoprì che ne ero a conoscenza e non avevo ancora deciso di scappare a gambe levate. Credetemi m'innamorai fin da subito del suo sorriso, quell’ustione non contava niente per me, era solo un difetto, perché del resto tutti ne abbiamo.
Anche lei si era innamorata di me, mi diceva sempre che le avevo salvato la vita, mi diceva che ero la sua ancora di salvezza e che senza di me non avrebbe mai superato la paura di uscire tra la gente e mostrare fiera il segno della sua bruciatura. Mi raccontò che suo padre era un gran cuoco, e che quel giorno disgraziato, mentre lei aveva solo quattro anni, un tegame con dell’olio bollente le cadde sull’avambraccio provocandole un’ustione di terzo grado.
Passarono due mesi e con lei iniziai a trovarmi bene, avevo ripreso a studiare e la mia media a scuola iniziò a essere incrementata da voti molto alti, lei era sempre più felice ed io davo il meglio di me per farla sentire a suo agio in un mondo che non la meritava. La nostra intimità iniziò a crescere, ridevamo, scherzavamo insieme come fossimo fratello e sorella, ma allo stesso tempo ci toccavamo per scoprire i nostri punti deboli, perché tra di noi c’era una forte attrazione fisica.
Pochi mesi più tardi capii che era la mia ragione di vita, era l’unica che riusciva a capirmi poiché la mia famiglia era sempre fuori per lavoro e, quando c’era, non faceva altro che lamentarsi del mio disordine o della mia cattiva condotta all’interno della casa.
Quando guardavo i suoi occhi, mi sentivo al sicuro e sapevo che la mia vita non avrebbe mai avuto limiti se ci fosse stata lei a guarirmi dal pessimismo, perché era ciò che stava facendo, stava facendomi credere che nel mondo ognuno di noi ha paura del prossimo, tutti esteticamente diamo l’impressione di non temere niente, di affrontare la vita come fosse un pupazzo di peluche, ma non è così. Abbiamo bisogno di verità, di un qualcosa di concreto, di qualcuno che ci tenga la mano.
Ecco, dopo quei mesi passati con lei, mi resi conto che mi aveva cambiato, ma allo stesso modo anch’io l’avevo resa una persona diversa. Prima che la conoscessi, non avrebbe mai reagito agli insulti, non avrebbe mai parlato del suo malessere fisico e tantomeno sarebbe arrivata a farmi credere che sono una persona migliore di tante altre, perché l’adolescenza in fin dei conti è così, in un attimo credi di essere l’uomo più felice sulla faccia della terra sventolando la bandiera, l’attimo dopo l’umore si spezza come fosse un ramoscello d’ulivo.
Continuai a chiedermi come avesse fatto una ragazza di soli quindici anni ad avermi fatto perdere la testa in quel barbaro modo, facendo volare un anno in un istante, perché quando ero con lei, il tempo volava, quando ero con lei, bastava che mi toccasse, che mi stringesse il collo e facesse scivolare le mani lungo il bacino per farmi impazzire.
Toccarla era la cosa più bella che mi avessero concesso, e poi fare l’amore con lei, il mio cuore perdeva il conto dei battiti quando succedeva.
Insomma, stiamo parlando di trasformare tutto l’amore, la grinta e la passione che abbiamo in un solo atto fisico, sentivo che ero dentro di lei e che lei era dentro di me, non si trattava solo di fare del “Sesso”, si trattava di stringersi le mani e guardarsi negli occhi mentre si godeva, mentre si ansimava sottovoce e ci si accarezzava con le mani sudate. Si trattava di concentrarsi sull’espressione del suo volto mentre i corpi erano uniti, importava maggiormente vederla sovrastata dal piacere attraverso gli occhi sbarrati e quella bocca semiaperta che voleva baciarti ma allo stesso tempo allontanarsi per sospirare e trasformare la soddisfazione in un orgasmo, così che io potessi provare la stessa sensazione, spingendo in sintonia con il suo alito, provando lo stesso benessere restando in silenzio, facendo risaltare l’eco del respiro nella stanza. La sua faccia dopo averlo fatto era molto più bella dell’atto in se stesso, quasi indescrivibile a parole. Potevamo essere sudati, malconci, lei era più bella di quanto lo fosse un paio di istanti prima. Ci guardavamo sempre negli occhi, erano il mezzo espressivo per farci capire quanto il nostro amore stava crescendo di volta in volta.
A distanza di un anno non ho mai dimenticato quei momenti, sono delle sensazioni che rimangono per tanto tempo, finché non si rivivono.
Qualche mese più tardi lei era entrata a far parte della mia famiglia, ormai sembrava tutto irreale, era un sogno che diveniva realtà.
Arrivò poco più tardi una bellissima notizia. Finalmente Alice ottenne una risposta dalla sua clinica per un intervento di chirurgia plastica, in modo da coprire l’ustione sul suo avambraccio.
La vidi così felice che mi venne un groppo in gola, piansi per la felicità vedendo che quella ragazza, così sfortunata per tanti anni era stata ripagata per tutti gli sforzi compiuti.
L’intervento si svolse poche settimane dopo, andò tutto per il meglio e quando la vidi uscire dalla sala operatoria mi sembrò incredibile vedere che il suo braccio era quasi completamente uguale all’altro.
La chirurgia aveva fatto un ottimo lavoro, non l’avevo mai vista così felice come in quel momento, mi avvicinai e la abbracciai come se l’avessero tenuta lontana per mesi.
La vita ci insegna che ci possono essere delle storie a lieto fine, era ciò che mi sembrava, era un finale nel quale io e lei eravamo i protagonisti.
Ho usato il verbo “Sembrava”, già. Il lieto fine è qualcosa di soggettivo, molto presto mi resi conto che quello non era un vero finale.
Poco tempo dopo i ragazzi che l’avevano sempre guardata con disprezzo iniziarono a farsi avanti, ragazzi che molto probabilmente avevano molto più fascino di me e sicuramente erano più grandi e maturi.
A che punto arriva la stupidità umana? Esiste qualcosa che un qualsiasi dio giudichi giusta per qualcuno che ha dato l’anima a una persona?
Io ero sempre lo stesso, innamorato pazzo, fiero di me e di quello che avevo costruito, ma lei non era più la persona che conobbi. Con il passare dei giorni iniziò a diventare più fredda, più distaccata, non mi rispondeva più alle chiamate o ai messaggi.
Eccoci arrivati al bivio nel quale tutti si chiederanno: “Come finirà tra i due innamorati?”
Come disse Machiavelli, la nostra vita è fatta per il cinquanta per cento da fortuna, per la restante percentuale dobbiamo mettere in gioco le nostre virtù e combattere per non farci trasportare soltanto dalla sorte, per dimostrare alla vita stessa che lottiamo per assicurarci una speranza.
Allora perché mi chiedo, pur avendocela messa tutta, mi son ritrovato al punto di partenza? Perché avendo espresso le mie migliori virtù, ha prevalso la fortuna nel suo lato negativo?
Mi bastò solo una settimana per capire che la ragazza della mia vita era cambiata, era diventata una ragazza troppo normale, aveva dimenticato tutte le sue sofferenze, tutto ciò che avevamo realizzato insieme e si era fatta trasportare dal primo bel ragazzo che si era presentato alla sua porta.
E che ne potevo capire io? Ero solo un ragazzo mediocre, ero qualcosa e non qualcuno.
Le giornate erano grigie senza la persona che ormai era entrata a far parte della quotidianità. Non la vedevo né sentivo da più di una settimana, avevo capito che forse la cosa più giusta da fare fosse lasciarla in pace, e così feci.
Si ripresentò inaspettatamente, proprio nel modo in cui la conobbi. Dopo circa un mese non ebbe nemmeno il coraggio di entrare in casa mia e chiedermi scusa per tutto quello che aveva fatto.
Avevo capito quanto fosse diventato importante conoscere a fondo una persona, da dove era uscita quella parte di lei che non avevo mai visto? Eppure ero convinto di conoscerla a memoria, mi sbagliavo.
Un misero messaggio, quattro misere righe in cui erano racchiuse quattro ottusità riguardanti la motivazione della nostra rottura. Sarei bugiardo se dicessi che ho letto quel messaggio, ebbene non ebbi nemmeno il coraggio di leggerlo tutto, perché in cuor mio sapevo già cosa c’era scritto.
Tutto l’amore che avevo dato, tutte le verità, i pilastri solidi che avevo costruito giorno dopo giorno iniziarono a crollare nel giro di un paio di giorni al massimo. Da quell’amore tiepido e confortante mi ritrovai in mezzo ad una strada fredda e cupa sapendo che ormai non sarebbe tornata più.
E ogni giorno ero costretto a guardarla ridere e scherzare come se la sua vita fosse filata alla grande, sapendo che un giorno ha amato me, ha preferito me, dovevo sentire tutte le voci altrui che mi rivelavano una cantilena già sentita “peccato che sia finita tra di voi, ora è la ragazza più bella della scuola”.
Lo sapevo benissimo questo, lo avevo appreso ogni giorno mentre la fissavo, e non c’era bisogno che qualcuno venisse a ricordarmelo come se avessi delle amnesie.
A scuola indossavo la maschera più falsa che avessi provato in tutta la mia vita. A casa ero un fiume di lacrime costretto a sopportare un giorno e una notte spogli.
Le ore di sonno erano al massimo quattro o cinque per notte, lo stress aumentava e a scuola era sempre peggio con la mia media dei voti.
Di solito quando finiva una relazione, non riuscivo a mangiare per una giornata intera. I miei m'imploravano di mettere qualcosa nello stomaco ma quello era come spento, non entrava niente nella mia bocca, a parte le vitamine che ero costretto a somministrarmi per tenere in piedi le gambe.
E come se non bastasse dopo circa un mese, iniziarono a subentrare vomiti e un mal di testa che mi mandava allo sbaraglio.
Persi quasi tre chili nel giro di due settimane tanto che nemmeno i miei amici mi riconoscevano più. Ero pallido come il latte e desideravo non andare a scuola solamente per non farmi vedere soffrire dalla ragazza che mi aveva rovinato.
Credo che non ci sia niente di più brutto, è come mettersi contro il tuo nemico sapendo che non giocherai ad armi pari, sapendo che sei in netto svantaggio e ti arrendi al tuo triste destino.
Io cosa potevo essere diventato? Che cosa ero per lei mentre mi osservava passare per i corridoi, pallido come un cadavere?
Mi sentivo un incapace, inesistente e privo di energie. Quel giorno la mia povera madre decise di portarmi per un controllo, ero troppo debilitato e di certo non potevo continuare così se volevo reggermi sulle gambe.
Entrare nello studio della mia clinica mi fece riapparire tanti ricordi, ovunque andassi c’era la sua faccia, il suo profumo, il suo odore.
“Priscilla”, chiamavo così mia madre da quanto ero piccolo, le sussurrai: “Priscilla quando tocca a noi?”, sperando che tutto fosse finito presto.
Lei si girò guardando mio padre e nello stesso istante la porta infondo al corridoio si aprì lentamente lasciando uscire un ometto basso e tozzo.
“Prego”, urlò il dottore. Ci alzammo in sintonia e ci dirigemmo con passo spedito nello studio. Niente di che, mi domandò il nome, iniziò a toccarmi, dopodiché mi chiese di fare un respiro profondo come di solito richiedono i pediatri.
“Qui c’è un problema”, disse con una voce rilassata.
“Bisogna eseguire una tac al piano superiore”, ribatté con un tono sempre molto tranquillo.

giovedì 10 marzo 2016

UNA GOCCIA D'ACQUA NELL'OLIO BOLLENTE

Buongiorno ragazzi, questo titolo equivale alla mia prima opera, ogni giorno pubblicherò un capitolo con la speranza che vi possa piacere e che possiate trovarla interessante.
Buona lettura.

CAPITOLO 1
-Martedì, 30 Settembre 2011
Fuori dai pannelli della finestra d’un ospedale si prospettava un’ulteriore giornata rigida e faticosa.
Gradisco alzarmi dal letto durante le prime ore del mattino, quando il sole e le stelle si sfiorano e la luna si fa più tersa in un cielo che subisce l’alba.
Dal ballatoio si scorge tutta la città alle prime luci, un posto diverso dal mondo di tutti i giorni. Basta chiudere gli occhi per sentire meglio i rumori della gente, il fruscio del vento e i motori delle macchine in un continuo spostarsi.
Solo alle cinque del mattino riesco ad avvertire il verso dei passeri, il suono impercettibile delle gocce d’umidità che sbattono sulle grondaie o le foglie di quercia che scorrono sul viale alberato accasciandosi al suolo. Questa parte delle mie giornate, questo breve arco di tempo lo chiamo “Vivere”, l’unico momento in cui riesco a confidarmi con me stesso, a riflettere sulla mia esistenza.
Poco dopo si sveglia il resto del mondo, la luce si fa più intensa, le fabbriche e i negozi iniziano a funzionare e la gente corre da una parte all’altra, blatera, sfotte e si fa del male senza nemmeno accorgersene. È proprio questo il momento in cui, mentre il globo inizia a funzionare, io smetto di esistere.
Chi sono io veramente? Me lo sono sempre chiesto, ma dopotutto la natura umana è questa, da quando siamo capaci di ragionare non facciamo altro che riempirci di domande, la difficoltà sta nel darsi delle risposte.
In teoria dovrei essere Michele, un ragazzo di diciassette anni, adolescente cui non manca nulla, in pratica sono sempre lo stesso, ma senza futuro, un presente indifferente, un passato malinconico e un cancro ai polmoni.
Dopo le sei del mattino inizio a sentire i richiami dei pazienti, i dottori, gli infermieri iniziano il loro turno lavorativo giornaliero, le porte si aprono e si chiudono, le persone urlano mentre la mia mente scombussolata post-chemio mi ordina di correre in bagno e sputare tutte le cattive impressioni insieme all’accumulo d'inutili farmaci.
Che ci faccio qui? Molto probabilmente la mia vita ha previsto questo per me, la mia storia appartiene a tutti voi, tutti potrebbero sentirsi chiamati in causa per il semplice fatto che la nostra esistenza non procede secondo i nostri programmi, ma secondo ciò che l’esistenza ha progettato per essa stessa.
Che peso ha l’infanzia? Che peso ha l’adolescenza o la maturità?
L’Adolescenza la conosco bene, ci sono dentro fino al collo. Che senso ha la vita se non si passa dall’adolescenza? Il bambino è la bocca della verità, l’adulto è saggio, insegna a vivere, ma l’adolescente? È lui che ripone nelle sue mani il futuro, poggiandosi su delle basi che non esistono perché divorate dall’incertezza e dalle emozioni amplificate.
La mia vita è simile a quella di un qualsiasi adolescente, sono consapevole di ciò che sono e non rimpiango ciò che sono stato. Ho vissuto tutte le emozioni migliori, di amicizie e amore non ne ho potuto fare a meno.
Sia ben chiaro che non ho intenzione di deprimermi, voglio raccontare del motivo per il quale io sono ancora in piedi, la ragione per cui io esisto ancora.
La mia figura è totalmente normale, sono un ragazzo come tanti, ma i miei amici mi hanno sempre chiamato “Eterno ultimo”, per il semplice fatto che m'innamoravo continuamente e venivo per lo stesso motivo scaricato.
Mi è sempre piaciuto avere tante ragazze ma a quanto pare i miei modi di fare sono sempre stati poco efficaci per la mia generazione.
Insomma sono finito per diventare uno dei ragazzi più scaricati dell’istituto scolastico.
Nel mio aspetto fisico non penso di essere un pessimo ragazzo, sono alto un metro e settanta, sono abbastanza magro per la mia età, ho un lungo ciuffo che si estende in altezza, pochi lo hanno. Il mio viso e abbastanza strano, un difetto che sicuramente penso di avere è il naso ingombrante, per il resto non ci ho mai pensato. Il mio fisico è, come ho detto in precedenza, abbastanza esile, mangio molto ma assimilo poco. Sono molto socievole ma sono antipatico a molti ragazzi per i miei modi di fare apparenti.
Il mio unico difetto, oltre al naso, risulta essere quindi l’incredibile velocità che ho nell’innamorarmi.
Ma che c’è di male nell’innamorarsi? Lanciarsi senza paracadute in un’amicizia più intensa dell’amicizia stessa, volersi bene tanto da fare l’amore, un po’ come l’amore aristotelico.
Mi piaceva la filosofia, la studiavo appena tornato da scuola. Era l’unica materia che rispondesse alle mie esigenze, e soprattutto era l’unica ad avermi insegnato che tutti possiamo filosofare, e di norma chi pensa al razionale troppo spesso può definirsi più intelligente.
Pensando spesso non so se definirmi troppo intelligente o troppo stupido, è uno dei miei pregi o difetti?
So solo che molto spesso pensare induce il cervello a ragionare facendo del bene, ma fa altrettanto male rimuginare su ciò che non conviene a noi stessi.
Nessuno è ingenuo in realtà, nessuno vuole leggere uno stupido romanzo su un ragazzo che cerca di attuare riflessioni brillanti credendo di sapere com'è fatto il mondo.
No, la verità è che ciò che ci spinge ad andare avanti ogni giorno, il motore dei nostri sogni è l’amore. Ciò che fa soffrire l’uomo, che lo induce a pensare cosa sia giusto o meno, che lo spinge a compiere determinate azioni, è proprio l’amore.
Tutto quello che leggiamo o studiamo quotidianamente è legato a quest’ultimo. Basti pensare che Dante non avrebbe scritto la maggior parte delle sue opere se non fosse stato innamorato di Beatrice, allo stesso modo Petrarca non avrebbe fatto successo se non si fosse ispirato a Laura.
Perciò le persone non si rendono conto di ciò che fanno, a volte trascurano tutto quello che hanno davanti non accorgendosi alla fine che lo rimpiangeranno.